Teatro

Montevideo, L'elisir d'amore

Montevideo, L'elisir d'amore

Conquista il pubblico di Montevideo l'allestimento dell'opera prodotto dal Teatro Colòn di Buenos Aires e diretto dal regista Sergio Renan recentemente scomparso e giocato sulla leggerezza della metafora dell'amore. Tra i protagonisti Erwin Schrott, l'uruguayano più famoso nel mondo della lirica.

Tutto ciò che ci si può aspettare dall'Elisir d'amore in questa nuova produzione del Teatro Colón di Buenos Aires, messo in scena nel Teatro Solís di Montevideo (Uruguay), viene degnamente soddisfatto: divertimento senza false pretese al di là della bellezza della musica, belcanto, estetica, con in più un cast di voci molto coerente.

Belcore, interpretato dal baritono brasiliano Homero Velho, ha la coloratura e la sicurezza necessarie, che ci hanno regalato una perfetta Come Paride vezzoso. Meglio ancora il ciarlatano Dulcamara, interpretato dal rocambolesco basso spagnolo (ma nato in Uruguay) Erwin Schrott: buon volume, dizione chiara e bella impostazione combinata con una più che efficace capacità recitativa, fondamentale per questo personaggio. Schrott, oggi considerato universalmente uno dei maggiori esponenti del catalogo mozartiano, da Don Giovanni, Leporello a Figaro, è stato recentemente insignito Illustre Cittadino di Montevideo. Il tenore argentino Santiago Ballerini, il protagonista Nemorino, dopo aver superato le difficoltà nell'aprire, continua la sua buona prestazione ed è ovazione per la scomoda e pericolosa aria Una furtiva lagrima. Eccellente il soprano argentino Jaquelina Livieri (Adina) la vera stella della notte con la grazia della sua performance, la fluidità e il totale controllo della voce: freschezza, leggerezza, omogeneità.
Vivacità espressiva anche per l’orchestra diretta dal giovane Martín Jorge, come notevole il coro diretto da Ignacio Pilone.

Sul piano scenico Sergio Renan, grande regista argentino a cui l’opera è dedicata, essendo scomparso quest’anno proprio poco prima del debutto del Colón, ha creato un’onnipresente divertente fabbrica di succo d’arancia circondata da agrumeti alla periferia di un villaggio, dove si svolgono in pratica tutte le scene, ad eccezione dell’ultima. La scenografia di Emilio Basaldúa, presentando interventi video dal tocco cinematografico, risulta molto efficace per le scelte registiche, come del resto l’illuminazione dai toni caldi, dove brevi tocchi di ombre contribuiscono a intensificare l’intimità dei duetti. Solo nell'ultima scena, appunto, lo spazio cambia totalmente prospettiva e si presenta aperto, a differenza dei precedenti quadri sovraccarichi e ingombranti, dando vita a un nuovo ambiente, completamente inaspettato. Questa scena finale costituisce la sorpresa della regia e il momento più sensibile del lavoro: un messaggio di Sergio Renan, quasi un dolce addio, in questa storia candida, la creazione di una scena fantastica, un giardino onirico come metafora dell’amore.